Oltre 4mila imprese (il 5% delle aziende con almeno 50 dipendenti) hanno offerto al proprio personale l’opportunità di svolgere il “volontariato di competenza” e altre 21mila (il 26%) sono interessate a consentirlo in futuro. Si tratta di una concreta pratica di responsabilità sociale che consente ai lavoratori dipendenti del settore privato di svolgere attività di volontariato durante l’orario di lavoro, mettendo in gioco le competenze acquisite nel proprio percorso professionale e aziendale.
A mostrarlo è il Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, che fa luce così sulla diffusione tra le imprese di una possibilità prevista dall’art. 100 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). La norma stabilisce che le aziende possano dedurre fino al 5 per mille delle spese relative all’impiego di lavoratori dipendenti per prestazioni di servizi erogate a favore di Onlus. Con il Codice del Terzo settore, tale norma è stata poi estesa a tutti gli enti del Terzo settore iscritti al Runts (anche se la sua applicazione è tuttora subordinata all’autorizzazione da parte delle Commissione europea).
Attualmente il volontariato di competenza risulta più diffuso tra le imprese del nord-ovest (5,6%) e nei settori dei servizi (5,4%), con i picchi più elevati in alcuni dei comparti dei servizi alle imprese, come l’ICT (l’8,4% delle aziende con almeno 50 dipendenti concede la possibilità di fare volontariato), i servizi di consulenza (9,1%) e i servizi finanziari e assicurativi (13,8%). Per l’industria la percentuale si attesta al 3,9%, con valori superiori per quanto riguarda il comparto delle costruzioni (5,5%).
Esaminando i dati per dimensione aziendale, si osserva una maggiore propensione per il volontariato di competenza nelle imprese di medio grandi dimensioni con 250-499 dipendenti, dove la quota raggiunge il 6,6% e in quelle più grandi con almeno 500 dipendenti (5,5%), mentre le imprese di medio-piccole dimensioni presentano valori più contenuti (4,4%).
Le attività di volontariato svolte dal personale durante l’orario lavorativo si concretizzano principalmente (nel 47,7% dei casi) nella partecipazione a community day: si tratta ad esempio di giornate dedicate ad una casa famiglia per disabili, ad attività di volontariato nelle carceri o alla pulizia di un parco. Di particolare interesse sono le aziende che consentono a dei propri collaboratori di dedicare diverse giornate – anche settimane o mesi – ad attività di informazione e sensibilizzazione culturale/sociale/ambientale in call center, negli sportelli informativi dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) in incontri pubblici o del terzo settore (22,5%); oppure ad attività educative a favore di studenti e minori in difficoltà (17,5%) o, infine, nel sostegno di ETS impegnati in progetti di cooperazione in Paesi del Sud del mondo (7,3%).
A livello settoriale si evidenzia una più intensa partecipazione a community day da parte dei dipendenti del commercio, turismo e servizi alle imprese, mentre per le imprese dei servizi alle persone è più rilevante la formazione rivolta a giovani in difficoltà.
Tra le imprese con più di 50 dipendenti che non prevedono attualmente tra le pratiche aziendali la possibilità di favorire il volontariato di competenza, il 61,6% dichiara di non conoscere affatto la normativa che consente di dedurre fino al 5 per mille del costo dei dipendenti impegnati in attività di volontariato a favore di enti del terzo settore (art. 100, comma 2, lettera i del TUIR). Emerge, dunque, l’esigenza di far conoscere meglio questa possibilità introdotta dal legislatore per favorire le pratiche di responsabilità sociale delle imprese e incoraggiare la collaborazione tra aziende profit ed enti non-profit del Terzo Settore. Più di un quarto delle imprese intervistate, peraltro, già si dichiara interessata a sviluppare in futuro questa forma di innovazione sociale.