Il protrarsi dell’emergenza sanitaria per il Covid-19 sta determinando conseguenze economiche e sociali che necessitano, nell’immediato, di azioni e proposte che vadano nella direzione della ripartenza, ma soprattutto per favorire le condizioni per un nuovo sviluppo dell’Area Centrale della Calabria, in un confronto con il Governo regionale certamente incardinato sulle linee politiche e programmatiche di indirizzo regionale, ma che deve altresì allargarsi tempestivamente alle articolate responsabilità istituzionali, in funzione dei ritardi e della gravità delle condizioni della Calabria, preesistenti rispetto alla pandemia.
Serve una nuova fase che guardi alle possibili condivisioni per un’azione sinergica, protagonista di una propositiva stagione di confronto sociale, con il contributo di tutti i soggetti dei diversi comparti produttivi e sociali, congiuntamente ad una responsabile offerta ed erogazione di servizi innovativi da parte della pubblica amministrazione calabrese, opportunamente riformata, migliorata ed in grado di garantire in maniera efficace la pienezza dei diritti di cittadinanza.
Occorre agire con una visione d’insieme che possa generare e mettere in campo proposte concrete ed efficaci, in un contesto di riferimento generale che parta dall’attuazione realistica e fattibile di una progettualità socioeconomica basata su risorse certe, velocità e qualità nell’azione della spesa pubblica, facilità e semplificazione amministrativa, che salvaguardi fermamente i principi della regolarità e della legalità.
Con il mondo accademico, del volontariato e del terzo settore vanno costruite le condizioni affinché possa emergere un contributo che è assolutamente importante, in un rapporto tra causa ed effetti generati dalla profonda crisi che stiamo vivendo nella nostra regione.
Mancano infatti politiche e strategie concrete nel campo della ricerca, della formazione e della specializzazione dei processi produttivi, che rendono asfittica e debole la nostra economia fino a determinarne pesanti ricadute sociali in un diffuso disagio di tutele, assistenza e servizi. Mancano politiche nazionali per il mezzogiorno, ed investimenti pubblici che mirino a favorire occasioni di sviluppo industriale e del manifatturiero sostenibile.
Va da sé, inoltre, che la programmazione, l’indirizzo e il controllo negli investimenti e nei servizi della PA, della Sanità Pubblica e dei Trasporti, possono trovare nella Contrattazione Inclusiva di siti complessi uno strumento che coniughi diritti dei lavoratori e interessi degli utenti, in entrambi i casi improntati alla universalità. Interfacciandosi con la contrattazione d’anticipo che può garantire maggiori margini di legalità e di pieno esercizio delle clausole sociali nell’affidamento e nel cambio degli appalti (vedi: Cittadella Regionale, Policlinico Universitario ed Aeroporto Internazionale di Lamezia Terme).
Nel settore industriale la Contrattazione inclusiva può garantire la reale applicazione dei CCNL, e rappresentare altresì lo strumento per colmare il deficit di contrattazione di secondo livello.
SANITÀ
In questo contesto, metteremo in campo la nostra azione confederale basata su responsabilità e sostegno al mondo del lavoro e ai cittadini, per il rispetto e l’applicazione dei CCNL, delle politiche salariali, delle rivendicazioni sociali e nella necessità di affermare l’esigibilità dei diritti di cittadinanza.
A partire dal diritto alla salute, che può realizzarsi esclusivamente nel S.S.N., il solo che risponde ai principi di universalità ed eguaglianza e che ha rischiato di essere definitivamente compromesso dal nefasto progetto di autonomia differenziata, che ci auguriamo sia definitivamente accantonato. Così come intendiamo trovare conferma da quanto sancito dall’art.120 della Costituzione, rispetto all’intervento sostitutivo del Governo per affrontare quanto necessario a garantire i livelli essenziali delle prestazioni, ulteriormente messi a dura prova dall’insorgenza del Covid-19,
In questo contesto è d’obbligo partire da quello che, nella sanità nel nostro territorio, così come nel resto del Paese, non ha funzionato, a partire dall’impoverimento e, nel nostro caso, del mancato decollo della medicina territoriale che avrebbe dovuto svolgere un ruolo importante nell’ambito della de-ospedalizzazione, quindi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Aver voluto pervicacemente indebolire il sistema sanitario universale con continui tagli lineari, aver sottratto 38 miliardi in soli dieci anni, da parte di tutti i Governi, ha creato una situazione di estrema fragilità dell’intero sistema sanitario. Serve puntare con decisione e convinzione sulla prevenzione, in quanto propedeutica alle attività sanitarie e in grado di restituire ruolo e funzioni alla medicina del territorio, fin troppo trascurata.
Adesso dobbiamo voltare pagina cogliendo anche le opportunità del Decreto “Rilancio” e delle ingenti risorse messe a disposizione, per puntare concretamente nei fatti, e non a parole, alla creazione della rete sociosanitaria territoriale.
Le misure di prevenzione, che in modo continuo e pressante abbiamo sempre rivendicato, anche per la sicurezza nei luoghi di lavoro, rappresentano un’azione indispensabile per un’efficace ed efficiente profilassi in grado di fronteggiare contagi, pandemie e malattie in genere.
Occorre ripartire dalla sicurezza nei posti di lavoro per superare i ritardi della politica regionale, interessando la programmazione coordinata con le istituzioni di riferimento e sollecitando azioni di contrasto per arrestare i drammi, succedutisi anche nelle ultime settimane, delle perdite di vite umane per incidenti sul lavoro. Una pesante responsabilità è rappresentata dalla mancata convocazione da parte della Regione del Comitato Regionale di Coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza del lavoro (istituito ai sensi del DPCM 21/12/2007 e successivo D. Lgs. N.81 del 9/4/2008), seppur ripetutamente sollecitata, per fronteggiare il dramma sociale legato agli infortuni sul lavoro. È grave il fatto che non si proceda al confronto, per come stabilito in sede ministeriale con le parti sociali, e si conceda al Commissario ad Acta di assumere decisioni soggettive sul piano operativo, sulle assunzioni, sulle stabilizzazioni e internalizzazioni senza alcun confronto con le OO.SS.
Va ricercata, con sollecitudine e perizia, ogni soluzione legislativa che guardi alla integrazione dell’Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” con l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Mater Domini” e alla relativa costituzione dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “Mater Domini – Pugliese Ciaccio” come una priorità per il nostro territorio, ma anche per l’intera regione e non solo, in quanto un polo sanitario di siffatte caratteristiche può diventare un punto di riferimento anche per cittadini ed istituzioni extra-regionali.
In quest’ottica, e con l’obiettivo fondamentale della riqualificazione dell’offerta del servizio sanitario pubblico, vanno superati i rilievi mossi dal Governo nell’impugnativa decisa dal CDM rispetto alla legge regionale n. 1 del 30 aprile 2020 che all’art.9 dispone l’integrazione.
Va chiarita nel rapporto tra Asp, Struttura Commissariale e Regione la vicenda del Sant’Anna Hospital. Questa struttura sanitaria di eccellenza e la professionalità del suo personale, necessari per il rilancio del SSR, non possono essere sacrificati.
Il commissariamento ad acta della sanità calabrese non sta dando i risultati attesi, il Ministero della salute deve intervenire presto e dotare il sistema sanitario calabrese di guide certe, che abbiano competenze specifiche in termini scientifici e manageriali e garantiscano estrema attenzione ai temi della legalità e della trasparenza, considerata la presenza in Calabria, e nel nostro territorio in particolare, di Asp sciolte per infiltrazioni mafiose ed altre in dissesto finanziario.
AREE INTERNE E MOBILITÀ
Il D.L. “Rilancio” offre anche all’area centrale della Calabria un quadro di prospettive per poter incidere in maniera determinante in favore dell’occupazione, delle attività produttive e per il contrasto dell’impoverimento sociale ed economico, a partire dalla prossimità dei nostri territori, dalle aree interne da trasformare e valorizzare come luoghi di interesse per l’offerta turistica post Covid-19.
Il lavoro è la sfida che vogliamo vincere e attraverso cui assicurare alle nuove generazioni un futuro migliore. Lavoro dignitoso e regolare, di contrasto al fenomeno del caporalato, quello che siamo certi si possa creare mediante un grande piano che faccia della manutenzione del territorio, della mitigazione del rischio idrogeologico, della valorizzazione delle aree interne, della cultura e del paesaggio i pilastri fondanti della strategia di rilancio. Bisogna che si considerino le nostre aree interne come una risorsa da valorizzare: il contrasto alla marginalità sociale ed allo spopolamento si attua investendo in lavoro, servizi, agricoltura biologica, turismo, valorizzazione delle minoranze linguistiche, transizione energetica, senza trascurare che per rendere efficaci gli investimenti c’è bisogno di infrastrutture materiali ed immateriali che aiutino la digitalizzazione delle PA.
Rivendichiamo un piano che utilizzi le ingenti risorse destinate al Paese dal PNRR per ragionare di connessioni, confronti, soluzioni.
Serve finanziare ulteriori Accordi di Programma Quadro per le aree interne calabresi in aggiunta alle quattro Aree già ricomprese nelle 72 Aree nazionali sperimentali dal programma nazionale SNAI. Serve altresì interrogarsi sui ritardi che si registrano nell’attuazione del programma SNAI, considerato che – dopo oltre 8 anni dal suo avvio – solo un’area (Reventino-Savuto) delle quattro individuate, è riuscita a concludere l’iter per la stipula dell’accordo quadro (APQ).
Si propone, in sostanza, l’elaborazione di una strategia più avanzata di sviluppo per le nostre aree interne che, in sinergia con l’Agenzia per la Coesione Territoriale, costruisca una strategia nazionale di sviluppo locale consentendo alle comunità dei territori di individuare i progetti idonei a promuoverne la crescita. Progetti che dovranno guardare prioritariamente a quattro misure: lavoro, sanità, istruzione e mobilità dovranno essere, infatti, i cardini degli APQ.
o Lavoro: ragionando di turismo, rilanciare il modello dell’albergo diffuso e della valorizzazione delle peculiarità territoriali. Lavoro mediante l’affidamento di terreni pubblici incolti a giovani agricoltori volenterosi, per la coltivazione di prodotti di qualità. Lavoro tramite investimenti in infrastrutture di collegamento viario tra le aree interne per garantire il diritto costituzionale alla mobilità attraverso un sistema di trasporto pubblico locale efficace.
o Sanità: per sancire nell’accordo che ognuno ha diritto a potersi curare nel proprio luogo di residenza costruendo così una medicina di territorio che preveda strutture di prevenzione e diagnostica fuori dalla rete ospedaliera e strutture post ricovero utili a non scaricare sulle famiglie i costi sociali del recupero e della riabilitazione. Sanità senza guardare al mero costo economico di una struttura, perché il tema della garanzia dei diritti costituzionali non può essere affrontato con politiche ragionieristiche.
o Istruzione: partendo dal presupposto che la scuola è presidio civile, sociale e culturale, luogo in cui si crea il capitale umano, è indispensabile il mantenimento del servizio scolastico nelle aree interne nonostante il numero degli alunni sia al di sotto dei parametri previsti della legge. Occorrerà agire sulla qualità dell’insegnamento e delle dotazioni, sia infrastrutturali che tecnologiche. Ragionare di come si bilancia collettivamente, e con una strategia di area, l’importanza che la presenza di una scuola riveste per una singola comunità; serve una deroga alla normativa nazionale che può costruirsi dentro gli accordi di programma, attraverso meccanismi di cooperazione tra Comuni. Allo stesso tempo, però, bisognerà andare oltre la deroga per ragionare collettivamente di modelli didattici che avvicinino la scuola al territorio orientando gli stessi verso le esigenze di sviluppo delle aree interne.
o Mobilità: il tema della mobilità è fondamentale sia per definire i livelli di accesso ai servizi di cittadinanza indicati come pilastri della strategia di rilancio delle aree interne (lavoro, sanità e istruzione), sia per la concreta realizzabilità di gran parte dei progetti di sviluppo locale. Occorre ripensare quindi l’attuale rete dei servizi di trasporto pubblico locale – su ferro e su gomma – rafforzando/istituendo servizi di collegamento tra le aree interne e i maggiori poli erogatori di servizi.
INFRASTRUTTURE
Attraverso le risorse del “Recovery Plan” va rivendicato con forza il completamento della S.S.106, sia del tratto Sibari-Crotone che di quello Catanzaro-Crotone; per quest’ultimo è stato già approvato lo studio di fattibilità. Parimenti, vogliamo che venga data accelerazione ad importanti infrastrutture di competenza della Regione che riguardano la costruzione dei nuovi Ospedali, a partire da quello di Vibo Valentia, che era già in fase avanzata sui lavori complementari, ma nel mese di dicembre 2020 ha subito un ennesimo stop dovuto a indagini della Procura.
Vanno sollecitati i lavori in ritardo di opere come la Metropolitana di superficie Germaneto-Catanzaro e l’ammodernamento e ampliamento dell’Aeroporto Internazionale di Lamezia Terme, o addirittura dimenticate come il completamento dell’A2 nei tratti Pizzo-Sant’Onofrio.
Andranno altresì individuate ed indirizzate le risorse necessarie a garantire al sistema portuale il potenziamento delle infrastrutture esistenti (porti di Vibo Marina, Catanzaro Lido e Crotone) ed il loro ampliamento sia a fini turistici, sia per la loro vocazione industriale e commerciale. L’odierno sistema di trasporto che guarda alle “vie del mare” rappresenta, infatti, per l’area centrale della Calabria occasione di sviluppo e crescita: solo inserendo nei programmi a questo finalizzati anche le strutture portuali si potranno, infatti, intercettare i flussi economici derivanti dal sistema di trasporto navale e le rotte del turismo crocieristico internazionale, bene prezioso per un vasto territorio a forte vocazione turistica, in cui si deve mirare alla riqualificazione dei centri urbani, al recupero delle periferie e dei centri storici, alla messa in sicurezza del patrimonio immobiliare pubblico e alla ristrutturazione del patrimonio immobiliare in generale.
Riguardo al trasporto aereo, durante il lockdown è risultata molto ridotta l’attività dello scalo di Lamezia Terme, che ha però già visto annunciato l’avvio di quindici nuove rotte, mentre per un periodo è stato chiuso temporaneamente al traffico l’aeroporto di Crotone, per il quale sono previste due nuove rotte per Bergamo e Bologna. Al momento, anche in considerazione dell’assenza di qualsiasi idea progettuale della Giunta regionale sul sistema aeroportuale calabrese e della mancanza di una seria governance da parte della Società di gestione degli scali calabresi, non ci sono certezze. Comunque, ferma restando la necessità per i cittadini calabresi di poter raggiungere gli altri scali italiani attraverso i voli dai tre aeroporti calabresi, oggi più di ieri si pone l’esigenza improcrastinabile di affermare la modernità della Calabria sullo scenario internazionale, sia per le merci che per i passeggeri e il turismo, rilanciando il ruolo dell’Aeroporto Internazionale di Lamezia.
Denunciamo con forza l’incapacità dei governi regionali succedutisi dal 2007 ad oggi e della Società Sacal per aver fatto perdere 51 milioni di euro della Comunità Europea, che sarebbero serviti ad allungare la pista per l’atterraggio dei jumbo e per l’ammodernamento dell’aerostazione, aumentandone confort e capienza. Anche per questo motivo appare incomprensibile l’atteggiamento del Presidente della Sacal che neanche su questa questione ritiene necessario incontrare le Organizzazioni Sindacali. L’aeroporto di Lamezia dovrà diventare la finestra sul mondo per i calabresi e per alcune tipologie di merci che in Calabria si producono: solo i voli internazionali diretti permetterebbero tutto ciò. Ancora una volta chiediamo, quindi, ai parlamentari europei, alla deputazione calabrese e all’attuale governo regionale di richiedere con immediatezza che quel progetto non venga definitivamente abbandonato.
Altrettanto necessario è il collegamento diretto tra l’aeroporto e la stazione centrale di Lamezia: “l’ultimo miglio” rischia anch’esso di perdere i finanziamenti, cosa che la Calabria non può più consentire che avvenga. Nella programmazione della mobilità calabrese, urge conoscere le intenzioni di intervento sulle necessità del Trasporto Pubblico Locale, che ci auguriamo non siano accomunate al disinteresse che registriamo per la più importante azienda pubblica della nostra Regione, Ferrovie della Calabria, che deve ricevere stabilizzazione finanziaria nell’espletamento del suo ruolo di servizio pubblico essenziale. Ed in tal senso chiediamo al governo regionale di attivarsi per il recupero di 25 milioni dei Fondi FAS, finalizzati a FdC e in precedenza bloccati perché considerati aiuti di stato, condizione, questa, da ritenersi superata nell’attuale situazione pandemica, oltre che dalle determinazioni del governo nazionale in tema di difesa delle infrastrutture ferroviarie regionali.
Occorre velocizzare i lavori della ferrovia Jonica e dell’elettrificazione dell’intera tratta, per togliere dall’isolamento interi territori come l’area di Crotone, che potrebbe trarre beneficio dall’allungamento del Freccia Argento Roma-Sibari.
Cruciali nelle strategie dello sviluppo dovranno essere le zone economiche speciali (ZES), a partire da quella di Gioia Tauro, che costituisce l’epicentro di un progetto di area portuale e industriale che coinvolge anche le altre aree portuali di Vibo Valentia, Crotone, le aree aeroportuali di Lamezia Terme, Crotone e le aree industriali vocate di Lamezia Terme, Vibo Valentia, Crotone.
Per queste ragioni, in una visione strategica nazionale di nuove politiche industriali, occorre un piano di investimenti pubblici che il Governo deve realizzare nelle aree Zes con le partecipate pubbliche nazionali, attraverso un programma di interventi, con rilocalizzazioni, collocazioni, riconversioni di produzioni e manifatturiero sostenibile, puntando sulle filiere e i distretti territoriali. È una sfida che deve essere fortemente condivisa e vissuta da parte di tutti i soggetti coinvolti sul territorio: Enti Locali, Forze Sociali, Associazioni imprenditoriali e di categoria, Enti ed Agenzie di sviluppo locale e regionale.
Una particolare attenzione va poi indirizzata ad una delle grandi aree industriali del Mezzogiorno, quella del Lametino, dove attualmente operano 107 aziende, con una occupazione di circa 2.500 unità lavorative, in settori strategici per l’intero sviluppo della Calabria. Infatti, nell’area insistono il Manifatturiero, la Logistica, le Telecomunicazioni, i Call Center, l’Agroalimentare, i Servizi Ambientali e l’economia circolare, la Produzione di energia da fonti rinnovabili.
RETI ENERGIA SERVIZIO IDRICO
Il segmento del Servizio Idrico Integrato (Adduzione-trasporto potabilizzazione-distribuzione-depurazione) ha evidenziato le difficoltà di sistema antecedenti alla pandemia e necessita di una riorganizzazione immediata e in chiave regionale. Determinate è stato il coinvolgimento sindacale per l’accesso agli ammortizzatori sociali di piccole aziende manifatturiere (gomma, plastica, chimica, tessile, abbigliamento, vetro, ceramica), che oltre a garantire tutele ai lavoratori, ha aperto un confronto da utilizzare in maniera permanente rispetto alla sicurezza e alla rimodulazione organizzativa e competitività di queste microaziende per consentire stabilità produttiva e occupazionale.
Il poter far leva su infrastrutture energetiche stabili, digital, resilienti ed iperconnesse renderebbe sicuramente più attrattiva agli investitori, pubblici e privati, la nostra regione, specie nelle significative realtà industriali, per imprese ad alto contenuto tecnologico ed occupazionale, in un processo avanzato di industria 4.0. In questa direzione vale molto la scommessa strategica della ZES, ma anche il recupero di aree industriali dismesse (Crotone, Lamezia, Vibo, Rosarno) che potrebbero essere riconvertite e rilanciate nel sistema di energia sostenibile per la produzione di batterie agli ioni di litio (gigafactory).
In tal senso si potrebbe avviare un progetto che consideri un territorio in cui insiste la ZES e al cui interno si integrino la produzione di energia elettrica da FER, il trasporto elettrico e la sperimentazione dello stoccaggio di enormi quantità di energia prodotta da tutti i parchi eolici e fotovoltaici. Basti pensare che nel bilancio dell’energia elettrica la Calabria ha circa il 179% di produzione in più rispetto alla richiesta, quindi al fabbisogno interno, che potremmo utilizzare per il nostro sviluppo.
Per tali ragioni, a valle dei Parchi eolici e quindi sull’Area industriale di Lamezia-Europa, occorre sostenere la filiera della produzione green e dello stoccaggio/accumulo, integrandola con la produzione su larga scala di batterie (gigafactory) per la trazione sostenibile di autoveicoli, motoveicoli e natanti, attingendo dall’energia rinnovabile prodotta a monte.
La valenza strategica della risorsa Energia può essere sfruttata per sperimentare una intera regione ad Energia Verde, elettrificando il trasporto pubblico ed individuando le città ad elevata densità di popolazione per provare elettrificazione, cablaggio e iperconnessione (smart city) attraverso la piena attuazione di progetti smart grid che possono consentire la nascita delle cosiddette comunità energetiche.
Riteniamo, che, per avviare questi progetti operino già alcuni drivers importanti, ma anche le imprese di caratura nazionale ed internazionale (ENEL, ENI, TERNA, A2a, Edison, Snam) possono mettere in campo le loro migliori risorse per elaborare un piano strategico per la “democratizzazione dell’energia”, che può avere sicuri risvolti per l’occupazione di giovani e donne e per colmare il gap territoriale.
AMBIENTE E TERRITORIO
Punto nodale della nostra azione dovrà essere l’avvio di nuove politiche di sviluppo che dovranno contemplare l’esigenza di nuove forme di lavoro, anche altamente specializzate, e nuove e più incisive modalità di tutela dell’ambiente e del territorio. In particolare il territorio di Crotone ha bisogno, dopo oltre vent’anni di attesa, di un’accellerazione degli interventi di bonifica e di una inversione dei paradigmi di sviluppo, da economia lineare ad economia circolare. Protagonista di nuovo modello di industria, green e sostenibile, può essere proprio l’Eni che già in altri territori sta avviando impianti “waist to fuel”, un processo di liquefazione che utilizza la biomassa più diffusa ovvero lo gli scarti della propria cucina e la trasforma in carburanti di origine rinnovabile. Un sistema che sfiderebbe il problema dei rifiuti, attenuerebbe l’impatto ambientale e realizzerebbe nuovo valore sociale, restituendo lavoro e sviluppo al territorio.
Sinteticamente si possono rappresentare le seguenti esigenze, che dovranno trovare nel Recovery fund, nei Fondi UE 2021/2027 e nei fondi ordinari della Regione Calabria la giusta copertura finanziaria.
o Partendo dalle linee guida della Regione Calabria, in vista di una rivisitazione del PRR del 2016, modernizzare il ciclo integrato dei rifiuti, tenendo conto delle nuove tecnologie di termovalorizzazione del rifiuto con impiantistica di nuova generazione a bassissimo impatto ambientale.
o Raccolta differenziata spinta, con più zone di compostaggio per l’umido e centri di raccolta specializzati della plastica e dei RAEE.
o Discariche zero (solo di servizio).
o Salvaguardia del territorio.
o Moratoria eolico.
o Rigenerazione urbana e politiche abitative e di sviluppo del territorio.
o Recupero e valorizzazione dei beni architettonici e paesaggistici.
o Piano regionale energetico (quello attuale della Regione Calabria risale al 2002).
o Fonte idroelettrica.
o Fonte solare termica.
o Fonte solare fotovoltaica.
o Recupero energetico dai rifiuti solidi.
CICLO RIFIUTI
Il sistema dei rifiuti è al collasso, innanzitutto perché non può contare su una gestione uniforme in tutto il territorio regionale rispetto ad una raccolta differenziata seria, che garantirebbe una quantità minore di rifiuti nei cassonetti e non provocherebbe situazioni di crisi che nell’attuale situazione rischiano di aggravare l’emergenza sanitaria in corso. Risulta, perciò, necessario avere altri impianti per gestire al meglio questa fase.
Il governo regionale deve, comunque, avviare un percorso in cui la gestione dei rifiuti sia considerata non un problema emergenziale, ma un’opportunità oltre che una risorsa, come in gran parte dell’Europa, e sostenere la costruzione di impianti di selezione e valorizzazione dei rifiuti finalizzati al riuso ed al riciclo. È necessaria una gestione trasparente e legale del comparto che possa garantire gli enti e i cittadini.
Il Piano Rifiuti del 2016 è orientato in questo senso, ma deve essere attuato nella sua totalità: differenziata spinta che possa apportare miglioramento al servizio e premialità in favore dei cittadini, ecodistretti, adeguamento vecchi impianti e individuazione costruzione nuovi impianti, accelerazione delle bonifiche previste dal Piano Nazionale e censimento delle nuove aree abusive gestite dalla criminalità organizzata.
Occorre un confronto con le parti sociali per una ricognizione dello stato dell’arte e una visione futura strategica; perciò urge un confronto tempestivo con la Regione sia al fine di contrastare l’emergenza rifiuti, sia per varare una seria e definitiva programmazione del ciclo dei rifiuti, che passi dall’asfittica gestione privata delle discariche ad insediamenti produttivi, con una gestione interamente pubblica, per la selezione e la valorizzazione del rifiuto. Tale nuova condizione garantirebbe tra l’altro crescita occupazionale, corretta applicazione del CCNL, certezze per gli attuali occupati nel settore, i quali lamentano ritardi nelle retribuzioni e gravi rischi per la sicurezza della loro salute, aggravati dall’inadeguatezza degli obbligatori dispositivi per la protezione individuale.
MERCATO DEL LAVORO – PRECARIATO – LAVORO ATIPICO – C.P.I.
Bisogna prima di tutto difendere ciò che abbiamo in termini occupazionali, cominciando dagli oltre 3.000 lavoratori dell’Abramo Customer Care che in questo periodo si trovano privi di ogni garanzia istituzionale, rischiando un esito drammatico e insostenibile per i nostri territori. E’ un’autentica ingiustizia che, nonostante le continue sollecitazioni delle OO.SS., il confronto non abbia ancora trovato il giusto riscontro nei ministeri competenti.
Il precariato calabrese ha una composizione variegata che assomma alla già stratosferica percentuale di disoccupati e inoccupati, una serie di soggetti che vivono in maniera correlata allo stato di disoccupazione, il gravissimo problema del precariato e di una molteplicità di attività atipiche che hanno come unico filo conduttore il dramma della indigenza.
Serve creare sviluppo e offerte di lavoro concrete; a poco servono politiche attive che non incrociano domanda ed offerta di lavoro. In tale contesto diventa urgente e necessario ridefinire il ruolo di Azienda Calabria Lavoro, dotandola di un piano industriale. Occorre fare in modo di superare il ruolo attualmente svolto dall’Azienda, simile più ad un parcheggio di lavoratori che non potendo essere collocati altrove, data la natura del loro contratto di lavoro, e non potendo essere stabilizzati nella struttura regionale, in realtà sono utilizzati per la quasi totalità da enti pubblici a supporto di varie attività.
Occorre anche considerare decisamente superata la stagione dei tirocini nella PA stipulando, previa moratoria sulla creazione di ulteriori bacini di lavoratori precari, accordi di programma fra tutte le amministrazioni pubbliche della regione finalizzati ad un piano straordinario di assunzioni di tutti i precari attualmente presenti nei vari bacini regionali, sostenuto da un programma di formazione e riqualificazione dei lavoratori che consenta l’avvio di una reale innovazione dei servizi pubblici.
Va supportato dall’azione regionale il completamento della stabilizzazione degli lsu-lpu, già coperta da fondi nazionali con la compartecipazione regionale.
Va avviata una stagione di concorsi pubblici diretti ai giovani calabresi sia per la definitiva stabilizzazione dei precari delle varie leggi regionali, sia per implementare la macchina pubblica calabrese con personale riguardo all’organico e alle competenze.
Al fine di programmare, progettare e spendere bene in quantità e qualità le risorse pubbliche nazionali e comunitarie, serve irrobustire la pubblica amministrazione regionale e degli enti locali.
Nell’impegno complessivo che chiediamo al governo regionale rispetto alle politiche di sviluppo e alla necessità della crescita occupazionale, un ruolo primario ed innovativo deve essere svolto in maniera coordinata e propositiva dalla Regione stessa attraverso i vari dipartimenti interessati e con il rilancio del ruolo dei Centri per l’impiego. Pensiamo a C.P.I. che accentrino le funzioni tipiche del servizio pubblico per il collocamento, con l’attività di coordinamento e sostegno degli enti strumentali regionali, comprese le particolari funzioni da condividere con le istituzioni statali preposte per la emersione e la regolarizzazione del lavoro nero, a partire dalla previsione del D.L. Rilancio relativamente alla regolarizzazione dei Migranti.
Anche per questo importante servizio pubblico rimane l’incognita sulla Fase 2; l’obbligo delle misure anti-contagio ci consegnano le preoccupazioni per l’inadeguatezza della maggior parte delle strutture degli attuali C.P.I., che si aggiungono alle problematiche di carenza strumentale informatica, digitalizzazione, necessità della valorizzazione professionale del personale, congiuntamente al pieno utilizzo del ruolo di ANPAL, con compiti finalizzati a perseguire indirizzi ed obiettivi occupazionali.