Signore e signori, finalmente ci siamo quasi, mancano pochi mesi: il divario tra Nord e Sud verrà colmato nel 2020!  

O almeno è così che titolava il Corriere della Sera il 13 settembre 1972 citando uno studio di un docente universitario il quale stigmatizzava, già all’epoca: «Lo sviluppo del Sud è avvenuto in modo disordinato aggiungendo ai vecchi motivi di arretratezza nuove cause di disorientamento». 

A posteriori, non credo di sbagliare se dico che quel professore era stato, ahimè, sin troppo ottimista. Ma solo sui tempi, perché aveva ragione da vendere nel dire che lo sviluppo del Sud è avvenuto in maniera disordinata e quindi lenta. E se certamente ci sono delle motivazioni sociali che hanno determinato una parte di quel disordine, non posso però non attribuire grandi responsabilità ad una gestione politica – mi riferisco soprattutto alla nostra Calabria ma probabilmente vale per tutto il Mezzogiorno – orientata alle operazioni di piccolo cabotaggio, di breve o brevissimo periodo. Iniziative spot, condotte sia a livello nazionale che a livello locale, senza una visione di lungo periodo, senza un’azione organica e strutturata, ma piuttosto con iniziative guidate dalla logica dell’azzeramento di ciò che era stato realizzato dal governo precedente.

Giusto per capire di cosa parliamo, alcuni dati – giuro, non troppi – diffusi da Istat ed elaborati da Svimez: continua il calo della popolazione calabrese, ormai nella nostra terra siamo rimasti in meno di 2 milioni. E sono due i fattori che influenzano questo calo: l’emigrazione, a scopo d’istruzione o per cercare lavoro, e la diminuzione – ormai cronica – delle nascite. E per capire la gravità di questi due fenomeni, dico solo due cose: perdiamo principalmente donne, tra 15 e 34 anni, laureate e per la prima volta, nel 2018, in Calabria ci sono stati più decessi che nuovi nati. Sull’assoluta inopportunità di non riuscire a trattenere i nostri giovani, formati in Calabria, perché non ci sono le condizioni affinché si impieghino nella loro terra è forse anche inutile che mi esprima, tanto è grave. 

L’invecchiamento della popolazione poi è un problema che è certamente diffuso in tutto il Paese, ma nella nostra terra rende le cose ancora più complicate, ci consegna prospettive complesse.

Perché è un fatto a cui, inspiegabilmente, non siamo ancora preparati, nonostante sia un processo che ormai va avanti da anni. Ed è questo un esempio pratico di come la politica non sia stata capace di guardare al domani ma soltanto all’oggi. 

Il welfare, il miglioramento della qualità della vita in età avanzata, la sanità, sono temi di scottante attualità nei quali, con una programmazione seria e capace, è possibile attuare un modello di sviluppo sociale ed economico, in cui dare occupazione. 

Quando parlo di una visione che sempre mancata in Calabria, mi riferisco proprio a questa incapacità di cogliere gli allarmi che da sempre fondazioni, studiosi, docenti lanciano. Un’incapacità che ha portato a sviluppare politiche scollate dalle reali esigenze dei territori, orientate solamente al tornaconto elettorale o alla risoluzione di un’emergenza annunciata su cui non si è intervenuto per prevenirla.

Ecco, la nostra Calabria, ma il resto del Mezzogiorno, il resto del Paese – ad esclusione di alcune, rare, isole felici – ha sempre preferito lavorare sull’improvvisazione, sulla gestione della crisi, sull’emergenza da affrontare. Parole come “pianificazione” e “prevenzione” sono sempre state inserite dentro a qualche programma elettorale, ma poi lì dentro sono rimaste, dimenticate e svuotate da ogni significato una volta passata l’elezione.

Non abbiamo bisogno di assistenzialismo, di elemosine, di aiuti spot, c’è solo bisogno di sentirsi parte di un Paese che cammina unito e guarda a tutte le sue realtà con strumenti organici, differenziati per specificità territoriali sì, ma che abbiano un unico obiettivo. E poi c’è bisogno di politica, di quella con la “P” maiuscola. È necessaria una rivoluzione culturale perché si passi dalla logica delle tessere a quella della rappresentatività, dalla logica della forza dei numeri a quella della forza delle idee. Idee che camminino sulle gambe di donne e uomini liberi, coscienti del ruolo che vogliono ricoprire, della responsabilità sociale che un rappresentante politico porta con sé, consapevoli del fatto che un politico, una volta eletto, non può permettersi più di dire “io”, ma deve sempre dire e pensare “noi”. 

A Roma, dal 18 al 20 ottobre scorsi, si è tenuta la Maker Faire European Edition 2019, la fiera rivolta alle imprese e alle start-up innovative che fanno del progresso tecnologico una leva di sviluppo sociale attraverso idee che cambieranno il mondo per come lo conosciamo oggi, idee capaci di rispondere già oggi alle esigenze di domani. A questo fiera, la Camera di Commercio di Catanzaro – che sono onorato di presiedere – ha portato tra imprese innovative della provincia che da tempo operano nel campo delle telecomunicazioni, della ricerca scientifica applicata in campo medico e dell’energia rinnovabile. In Calabria, guardando solo alle start-up innovative giovanili, se ne contano più di 200. Se poi guardiamo alle spin-off universitarie, se ne contano 42. Numeri che non sono certamente da capogiro, ma valgono a comprendere che c’è un fermento da cogliere, che ci sono delle forze serie e giovani a cui dare ancora più fiducia costruendo le condizioni migliori per fare impresa in Calabria.

Scontiamo ancora profonda arretratezza sul tema dei trasporti, sul tema delle infrastrutture, dei collegamenti fisici e in alcune aree anche di quelli digitali. Condizioni che costringono all’isolamento, o a rinunciare al proprio progetto o, peggio ancora, a portare quel progetto lontano dalla Calabria, magari dopo essersi formati nelle università di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria. Condizioni che rischiano di soffocare quel germoglio di sviluppo che si intravede spuntare da una terra ricca di nutrienti ma povera di bravi agricoltori.

In realtà la Calabria è povera di bravi agricoltori soltanto quando se ne parla in senso figurato, perché l’agricoltura calabrese è il settore, assieme alla ricerca, al turismo e alla sanità, sul quale credo si debba costruire la visione della regione dei prossimi anni. Ma come in tutte le operazioni serie, non basta dare soldi agli agricoltori e aspettare che arrivino i risultati, che nascano aziende floride e moderne, capaci di assorbire diplomati e laureati che altrimenti andrebbero via dalla Calabria. Serve costruire le condizioni di base, quelle di cui parlavo prima: trasporti, infrastrutture, collegamenti fisici e digitali. E poi investire in cultura d’impresa e formazione perché se è vero che non si smette mai d’imparare, allora è altrettanto vero che noi che ricopriamo un ruolo gestionale nella società, abbiamo il dovere di sostenere e incoraggiare in ogni maniera chi vuole accrescere la propria cultura e le proprie competenze umane e professionali.

Chi mi conosce o mi segue sui social network, sa bene che amo viaggiare svestendomi di giacca e cravatta e andando a conoscere la realtà di alcuni luoghi del mondo che reputo particolarmente affascinanti. L’Asia, nello specifico, è il continente che più amo visitare. E proprio in Asia, in india per la precisione, ho conosciuto e fatto mio un modo di dire che porto sempre in mente e nel cuore: “se davanti a te vedi tutto grigio, allora sposta l’elefante”. Nella loro semplicità, queste poche parole hanno, per me, un effetto dirompente, hanno la capacità di abbattere quel muro di convinzioni che ci siamo costruiti per tutta la nostra vita. È vero che la nostra terra, il Mezzogiorno, il Paese tutto ha delle difficoltà e il futuro che immaginiamo non è roseo come vorremmo. Ma perché le cose migliorino non c’è altro da fare che fare, agire, avere il coraggio di metterci fare delle scelte magari anche impopolari purché siano concordanti con l’obiettivo che ci siamo prefissi, con quella visione di lungo periodo a cui abbiamo deciso di giungere.

Daniele Rossi